NON SOLO EXALLIEVI…
[box]Ricordiamo oggi i 50 anni del nostro esame di maturità del 1963, ma in realtà gli anni della nostra amicizia sono 55, perché il nostro sodalizio inizia nell’ottobre 1958.
A proposito di quel giorno di ottobre, cito Angelo (31 marzo 2006, in memoria di Riky) “la storia della nostra amicizia inizia il giorno di cui ho ancora incredibilmente un nitido ricordo, in cui noi ragazzini vocianti, in attesa di entrare nella nostra aula di prima liceo, vedemmo venire verso di noi, sotto il portico che cinge i giardini pensili di Valsalice, un ragazzo lungo, dinoccolato e un po’ intimidito. . . che aveva un orecchio naturale per la poesia, come per la musica, alla ricerca delle emozioni e della straordinaria forza di verità che sanno darci i grandi poeti”.
Personalmente ho un altro preciso ricordo di quel primo giorno di liceo, perché il posto mi era stato assegnato nello stesso banco di Carlo. Lo avevo salutato presentandomi con nome, cognome e luogo di residenza. Me lo ha ricordato irridendo la mia compitezza, un po’ ingessata, fino all’ultima volta che ci siamo visti, l’ultima domenica dell’agosto 2011, pochi giorni dopo il suo compleanno.
Poi ci siamo sentiti al telefono, fino a quando ha risposto solo Mariella.
Ci mancano la sua fantasia, la sua cultura, la sua profonda umanità. Era diventato ingegnere, ma era un umanista nel pieno senso della parola.
Così ancora l’ottobre del 1960, la terza liceo, Elio che arrivava dal liceo di Vercelli. Con la sua vocazione di medico, trasmessagli dal padre. Vocazione assecondata con passione e competenza, fino alla fine. Appariva già uomo maturo a 16 anni e tale è stato sempre. Coerente anche nel suo credo politico, soprattutto in tempi che gli imponevano di andare contro le correnti prevalenti.
Se ne è andato pochi giorni prima di Carlo.
Scusate queste note tristi, ma il ricordo degli amici che ci hanno preceduto fa parte del nostro essere, perché sono quelli dei quali dice Menandro: “muore giovane colui che a Dio è caro”.
Un pensiero ed un abbraccio a tutti i nostri insegnanti e superiori: don Mazzoleni, Canciani, Giobbio, Pomatto, Elia (la prima liceo), Ravera, Sanvito, Verri, Vesco (arrivato in terza liceo con la filosofia). I professori di ginnastica Veglia e Piotti. I direttori don Martinotti, Baitieri, Fiora.
Mi limito a citarne il nome, perché ognuno di noi li porta nel cuore, nel ricordo di momenti facili e meno facili.
Ci hanno dato delle nozioni, ma ci hanno dato soprattutto una cultura, una visione di insieme del mondo e della vita.
Ci hanno insegnato che il sapere, come il vivere, vanno affrontati non per settori, ma nella loro interezza, che le cose regalate non hanno valore, perché valgono soltanto quelle conquistate con la fatica del lavoro e dell’applicazione costante. Soltanto queste possono essere durevoli, perché vanno a fare parte integrante della nostra persona.
La disciplina della scuola del Valsalice, a volte accettata da parte nostra “obtorto collo” ci ha permesso di affrontare con metodo negli anni successivi le difficoltà della vita.
Abbiamo vissuto questi 50-55 anni in cui la Storia ha subito un’accelerazione senza paragoni rispetto ai secoli precedenti.
Il dopoguerra, quello successivo alla guerra dei trent’anni 1915-1945 (tra il 1945 ed il 1958 c’è lo stesso intervallo che c’è fra il 2000 ed oggi, ma il 2000 ci pare ieri mattina) era incombente all’inizio del nostro liceo.
La voglia di ricostruire, di progredire, l’abbiamo vissuta nel lavoro dei nostri padri e delle nostre famiglie, della società italiana in generale.
Il miracolo economico italiano è di quegli anni, così il Concilio Vaticano II, la nascita ed il primo consolidarsi dell’Unione Europea.
Poi, dopo il 1963, ognuno di noi ha intrapreso la sua strada, ha costruito la sua vita e la sua professione.
Ci siamo frequentati in gruppi più ristretti, determinati da affinità professionali e/o da prossimità geografica, ma uno spirito comune, di gruppo, è rimasto.
Cito ancora Angelo “mentre il liceo ci forniva gli strumenti culturali per entrare nella vita, attraverso l’opera meritoria e paziente dei nostri meravigliosi insegnanti salesiani, i discepoli del grande Don Bosco, la pratica della solidarietà e della lealtà, unita ad una grande sensibilità per la natura, ci dava quelli morali. . .Oggi, esagerando, possiamo dire che forse quel gruppo di ragazzi aveva toccato le radici concrete della spiritualità, forse aveva trovato l’universo naturale delle origini, valido per tutte le età”.
Bene, quello spirito ci ha riuniti con prepotenza, passatemi il termine, a partire dal 2003 per i 40 anni dell’esame di maturità, grazie all’iniziativa di Riccardo e di Angelo, motore instancabile.
Dopo 10 anni siamo al mezzo secolo dalla maturità e ci ritroviamo ancora, ad affrontare insieme un mondo che si è ancora più globalizzato, nel quale molte frontiere sono cadute, ma nel quale le contraddizioni non sono finite.
Ricordiamo il filosofo nordamericano Francis Fukuyama, teorico delle sorti magnifiche e progressive dell’umanità grazie alle scoperte della scienza e della tecnica, che alla fine degli anni 80 alla caduta del muro di Berlino aveva profetizzato la fine della Storia.
Il mondo occidentale, con la sua filosofia della libertà e della democrazia, aveva sconfitto il mondo comunista, quindi l’umanità aveva raggiunto il suo punto di equilibrio, nel quale sarebbe vissuta felicemente. Dunque la Storia non avrebbe più avuto ulteriori sviluppi.
Sappiamo bene che gli avvenimenti successivi dimostrino quanto si sia sbagliato. La Storia non si cristallizza, è sempre in evoluzione, in fase di crisi.
Nel dare al termine crisi il significato di difficoltà particolare, dimentichiamo che invece crisi significa equilibrio dinamico, “dialettica delle forze storiche” (Hegel). Da sempre nella storia dell’umanità intervengono idee ed azioni (Franco Amerio, introduzione al testo di Storia) che si condizionano a vicenda e che generano a loro volta altre idee ed altre azioni.
Il momento che affrontiamo oggi è forse più difficile di altri che abbiamo vissuto. L’immigrazione dal terzo mondo, causata dalla spinta demografica là presente che compensa il calo demografico del nostro mondo, ci preoccupa fortemente, come ci preoccupa la concorrenza dei popoli in cui la manodopera è ancora a basso costo, dei popoli che hanno fame e che non hanno paura di sacrificarsi.
Ma non dobbiamo dimenticare che un secolo fa, o forse anche meno, i nostri nonni ed i nostri padri erano loro gli immigrati nel mondo. Che il miracolo economico del dopoguerra è stato conseguente alla voglia di riscatto ed alla capacità di sacrificio.
Certo, la crisi finanziaria iniziata nel 2008, che oggi continua generando una mancanza di fiducia, si trasforma in crisi reale, le imprese chiudono, si perdono i posti di lavoro, i giovani sono costretti a rimanere nel limbo. Questa crisi ci interroga sulla prospettiva del nostro futuro.
Per cercare delle risposte, sono andato a riprendere alcuni insegnamenti che la nostra scuola ci ha dato.
Ho trovato Kant e la sua domanda “che cos’è l’illuminismo? Was ist Aufklärung?” come ci spiegava don Vesco. Che cosa accade ora? Che cos’è questo ora all’interno del quale siamo, gli uni e gli altri?
Prima ancora Giambattista Vico che analizza il presente come passaggio verso un avanzamento del processo di civilizzazione. Agostino che cerca di individuare nel presente i segni che annunciano un compimento. Fino a Platone che rappresenta il presente come parte di una certa età del mondo.
Ho raccolto delle riflessioni, che soltanto in piccolissima parte sono mie, per il resto sono frutto di letture che ho fatto nel tempo. Ve le propongo come stimolo per ulteriori riflessioni.
La società occidentale e le società avanzate hanno ottenuto risultati straordinari nella diffusione del benessere materiale, nella democrazia politica e nel pluralismo culturale. In fondo è il compimento della libertà di massa.
Sul piano culturale ci sono due filoni che la segnano: il primo che nasce dal sessantotto, dall’affermazione del diritto di essere se stessi, il secondo che nasce a metà degli anni settanta, come reazione all’ipertrofia degli apparati statali (Friedman).
Vi sono alcune direttrici che caratterizzano il cambiamento strutturale, che ha generato quella che chiamiamo globalizzazione.
La direttrice del mercato globale, poi quella della costruzione del sistema tecnico planetario, che prelude alla standardizzazione universale, superando l’insieme dei legami, poetico, magico, simbolico, lasciando spazio alla sola mediazione tecnica.
Infine la costruzione dello spazio estetico mediatizzato (Marshall McLuhan), per cui la nostra società dell’informazione, invece di ordinare le conoscenze in file armoniose, offre quantità di notizie a velocità crescente, in cui diventa difficile trovare una sequenza logica di sviluppo. In pratica ci sono dei frammenti che diventano egemoni.
Prevalgono l’instabilità, l’incoerenza, la malleabilità dei significati, tanto da arrivare al risultato di una società liquida (Zygmunt Baumann) dove tutto può accadere e tutto può essere fatto.
Smantellate le tradizionali basi di legittimazione (l’autorità, la tradizione, la ragione) la cultura contemporanea dà vita ad una forma di neosofismo, dove si considera vero ciò che è comunicato efficacemente e si attribuisce al sentire e non al ragionamento il criterio di verità.
In questo contesto l’economia si sbilancia verso l’ambito finanziario, fino alla creazione di un sistema finanziario fittizio, che diventa un mondo parallelo.
L’economia, in una società diventata post industriale, società di servizi, ha sempre più bisogno di dimensioni simboliche e comunicative per potersi espandere.
Non si parla più di bisogni, ma di desideri, che si creano artificialmente.
Il lavoro ha perso la sua centralità a favore del consumo.
Annullato il vincolo del lavoro, col trasferimento là dove la manodopera costa meno, resta il consumo, che però va sostenuto con l’indebitamento.
Come ne usciremo, quale sarà il futuro?
La sensazione è che per tornare a crescere gli interventi tecnici, pur necessari, non basteranno.
Un inciso soltanto su quanti teorizzano la cosiddetta “decrescita felice”.
Non sono d’accordo, non possiamo fermarci e tornare indietro, il problema è orientare bene la crescita.
La Lectio Magistralis di qualche giorno fa è stata una indicazione in tal senso: il riuso delle aree industriali dismesse di Torino, ad uso abitativo e soprattutto ad uso dei poli universitari e di ricerca, l’importanza strategica del collegamento ferroviario ad alta velocità del mediterraneo che passa per Torino.
Occorre una riflessione intorno all’idea di ricchezza ed al suo uso, all’idea di libertà personale e della sua valorizzazione che non si limiti al consumo, come la visione propria del sessantotto e di un certo liberismo hanno privilegiato.
Riprendiamo la tesi di Fromm sul rapporto tra essere ed avere. L’uomo vale in quanto esiste, non in rapporto a quanto possiede di beni materiali.
Riflettiamo sull’idea di giustizia sociale e sulle forme istituzionali utili per realizzarla, sulla libertà che deve essere responsabile.
Per quanto ci concerne, per quanto concerne noi, ragazzi di quasi settant’anni, basta che pratichiamo gli insegnamenti che ci ha fornito il nostro liceo.
Lo abbiamo fatto, certo con degli alti e dei bassi, negli anni passati e dobbiamo continuare a farlo negli anni a venire.
Chiudo con una considerazione sui nostri figli.
Per quanto mi è dato di conoscerli, e li conosco quasi tutti, permettetemi di dire che sono migliori di noi.
Allora il mondo ha ancora futuro.[/box]